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TESTIMONIANZA PATRIZIA
 
Testimonianza Piero Marinoni
ex tossicodipendente

 


La testimonianza di un detenuto di nome Walter: "Guardandomi allo specchio dissi: Diventerò un mafioso"
 
Ho 34 anni, sono nato a Taranto e voglio raccontarvi come il Signore Gesù ha trasformato la mia vita.

Sono cresciuto in una brava famiglia, gente semplice, però con difficoltà economiche. Per aiutare la mia famiglia smisi di frequentare le scuole medie e iniziai a lavorare. Collaboravo insieme agli altri miei due fratelli.


La mia adolescenza l’ho vissuta avendo alti e bassi, anche se ero un ragazzo con dei buoni principi, era nato in me un forte desiderio di diventare qualcuno, insomma volevo essere notato e considerato.

Abitavo in una zona centrale di Taranto, e proprio nelle vicinanze di casa mia vi erano dei giovani ragazzi che vivevano una vita di lusso ed erano rispettati. Questo gli era possibile perché svolgevano attività illecite. Ero affascinato da questo modo di vivere e mi piaceva essere come uno di loro, d’altronde io volevo apparire. Un giorno, prima di recarmi al lavoro, guardandomi allo specchio dissi: “Diventerò un mafioso”.
Questo pensiero catturò tanto la mia mente che mi fece abbandonare il lavoro. Iniziai a far parte di piccoli gruppi di strada, spacciando droga, facendo qualche rapina ed altre cose illecite. Iniziai a familiarizzare con la polizia. Mi arrestarono più volte, così divenni noto negli ambienti dei delinquenti. Iniziai a fare anche uso di droga, sniffavo cocaina. La mia vita iniziava ad andare in frantumi e questo era solo l’inizio di quel tunnel buio senza via d’uscita.

Nel 1992 per la prima volta feci uso di un’arma da fuoco, sparai a mio fratello nelle gambe perché mi aveva rubato dei soldi per andarsi a drogare e questo mi dava molto fastidio, non volevo che fosse un tossicodipendente. Mentre lo accompagnavano all’ospedale scappai via per non farmi prendere dalla polizia.
Il giorno dopo i giornali parlavano del mio caso e questo mi faceva pensare che già stavo per arrivare al successo. Così decisi di lasciare i primi amici della strada per frequentare un ambiente dove vi erano veri e propri mafiosi. Qui facevo estorsioni, usavo armi da fuoco e questo mi faceva sentire più rispettato dalle persone.
Qualche tempo dopo fui sparato alle gambe da un amico perché non voleva che facessi quella vita, fui colpito da cinque proiettili, mi portarono in ospedale. Questo mi fece riflettere e considerare che prima o poi sarei morto per mano di qualcuno, o di un amico o di un nemico.
Nell'anno 1993 un ragazzo fu ferito da alcuni colpi di pistola e fui incolpato ingiustamente. Fecero un confronto tra me e il ragazzo ferito e fu provato che ero innocente.

Gli anni più belli della mia giovinezza li stavo vivendo nelle carceri, ormai avevo preso l’immagine del criminale.

Nel 1998 mi trovavo a Genova con la mia fidanzata; stavamo progettando di sposarci quando una notte mentre dormivo, fui svegliato e ammanettato dai poliziotti. Mi portarono al carcere di Genova.
Chiesi di fare una visita medica perché ero molto esaurito, e così mi diedero una terapia di tranquillanti. Ne avevo bisogno, la mia mente era a pezzi.

Dopo qualche settimana fui trasferito nel penitenziario di Lecce, perché era in corso il mio processo presso la Corte d’Assise di Taranto.
Ero implicato insieme ad altre 27 persone per associazione mafiosa. I miei genitori soffrivano per questo, però non mi abbandonarono, continuavano a volermi bene, nonostante avevo preso quella strada.

Volevo cambiare ma non ci riuscivo.

Di notte avevo degli incubi e per dormire abusavo di tranquillanti, volevo sfuggire a quella brutta realtà che mi circondava.
Poi nel 1999 fui condannato a nove anni di carcere, più tre che ne avevo già da scontare. Che brutta fine per me che avevo tanta voglia di vivere, già avevo perso il sorriso.

Nel marzo del 2000 ricevetti un telegramma con la brutta notizia: mio fratello di 29 anni era morto per un’overdose di droga. Mi sentivo il mondo cadere addosso, ero stato come colpito alle ginocchia, abbattuto per non rialzarmi più. Partecipai al suo funerale con la scorta, quando ritornai in carcere non volevo parlare con nessuno. Alcuni amici del reparto mi chiesero come stavo, ed io risposi: “Sto bene perché Gesù è con me”.

Non capivo perché pronunciai quelle parole, non ero un credente, nè conoscevo il Signore, ero solo un cattolico non praticante. Qualcuno mi aveva parlato di Gesù qualche tempo prima, mi disse che Lui mi amava ed era morto per i miei peccati, e se lo avessi invocato con fede e con un cuore sincero, mi avrebbe risposto.

Una mattina mi svegliai piangendo, dicevo tra me e me: ho fallito in ogni cosa, sono distrutto. Mi alzai aggrappandomi alle sbarre della finestra, guardai il cielo e con gli occhi pieni di lacrime gridai a Dio: “Sono stanco di vivere così! Signore, cambia la mia vita”.
In quell’istante avvertii una dolce presenza, era così piacevole, per la prima volta sentivo la pace nel cuore. Al momento non capivo che stava succedendo, ma poi mi resi conto che Gesù stava iniziando un’opera nella mia vita.

Il Signore aveva ascoltato la mia preghiera. Smisi di fumare e già non sentivo più il bisogno di prendere farmaci. Così con tutto il cuore ringraziavo Dio per avermi risposto.
Sentivo la Sua presenza spirituale, il Suo amore inteneriva il mio cuore, mi sentivo una nuova persona. Le persone che erano nel carcere vedevano un cambiamento nella mia vita, forse per loro era strano ma non per me che avevo ricevuto la grazia di Dio.
Intorno di me tutto rimase lo stesso, però nel mio cuore cambiò qualcosa, c’era un forte desiderio di cercare Dio, lo adoravo e lo ringraziavo. Mia madre si meravigliava di tutto questo. Ebbi una grande gioia quando seppi che dopo poco tempo, mentre era in casa iniziò a piangere e anche lei invocò lo stesso Dio che aveva trasformato la mia vita. Adesso non è più quella donna sofferente di una volta, ma testimonia alle persone della gioia e della pace che Gesù gli ha dato.

Oggi a distanza di cinque anni continuo ad avere fede in Dio e a vivere nella sua grazia. Sono una nuova persona, con la pace, la gioia e l’amore di Gesù nel cuore e disposto ad amare e perdonare gli altri, perché Dio ha perdonato me. Nel carcere di Secondigliano posso testimoniare agli altri detenuti quello che Gesù ha fatto nella mia vita, predicare il messaggio della sua Parola e parlare del Suo amore.
Ora il mio desiderio è di vivere onestamente secondo la Parola di Dio e servirlo. Sono una nuova creatura in Cristo Gesù.

 

La testimonianza di Adriana

 
Mi chiamo Adriana e faccio parte dell'Associazione Diaconia Napoli dalla sua fondazione, nel 2002.

In quel periodo della mia vita mi trovavo in una situazione particolare, ero alla ricerca continua di Dio e volevo scoprire nuove esperienze nel campo cristiano.

Cominciai a frequentare mio zio Elia – dopo molti anni in cui c'eravamo persi di vista – e lui mi parlò della sua miracolosa guarigione da una vita intera di tossicodipendenza.

Vidi anche il lavoro molto delicato che stava svolgendo per aiutare tanti ragazzi e cominciai a partecipare anch'io, nel modo in cui potevo. Quello che mi colpiva nelle persone che incontravamo era la loro sofferenza: questi ragazzi e ragazze avevano molte ferite nell'anima ed erano emotivamente molto fragili. Personalmente ero portata più ad ascoltare i loro sfoghi piuttosto che a parlare e a dare loro consigli e soluzioni (che non avevo).

Non avrei mai pensato prima d'allora di andare alla Stazione Centrale di Napoli, la sera, a parlare con i barboni, i drogati e le prostitute e di preparare per loro i panini imbottiti e i pasti caldi. Ero contenta di aiutare, però mano a mano che andavo avanti sentivo che qualcosa di strano si muoveva dentro il mio animo. Finivo per identificarmi con queste persone quando mi raccontavano il loro dolore o la loro rabbia e una di queste volte scoppiai a piangere tra le braccia di una donna che si drogava e si prostituiva.
Andavo lì per aiutarli ma in realtà ero io che stavo ricevendo aiuto attraverso queste persone e il Signore stava guarendo il mio cuore mentre tiravo fuori tante cose che avevo accumulato negli anni.

Sono la seconda di quattro figli e i nostri genitori purtroppo si separarono quando avevo soltanto otto anni. Da quel momento per ognuno di noi iniziò bruscamente una nuova vita: i miei fratellini ed io siamo cresciuti praticamente senza la mamma e per molti anni siamo stati separati anche tra di noi. Infatti abbiamo vissuto, ad alterne vicende, un po' con i nonni, un po' con gli zii e un po' con nostro padre. La nonna era credente e ci aveva insegnato a pregare, a credere in Gesù e alle parole della Bibbia. Anch'io un giorno ho creduto che Dio esiste davvero: feci una preghiera disperata e la sua risposta arrivò subito.

Una sera particolare di alcuni anni fa, durante un incontro di preghiera a casa di una coppia di amici capii che avevo bisogno di accostarmi seriamente a Dio. Sentii che c'era una barriera forte tra me e Dio perché avevo vissuto fino ad allora con una mentalità sbagliata, facendo molte cose sgradite a Lui. Gli confessai i miei peccati e mi sentii di ricominciare daccapo e più leggevo il Vangelo più mi innamoravo della mentalità di Cristo. Mi piacevano le parole che diceva, come la pensava Lui su tante cose, e il suo senso della giustizia. Così non ho potuto fare a meno di credere in Cristo e sperare che si può essere migliori. Ho capito che tante ingiustizie che vedo intorno a me e che la gente considera cose normali, sono invece ingiustizie e ipocrisie anche per Dio. Ho trovato qualcosa che mi dà pace e certezza e che non mi delude mai. Qualcosa che una volta trovata non vuoi lasciare più.

 

La testimonianza di Davide

 
Mi chiamo Davide, ho 33 anni e voglio raccontarvi l’incontro che ho fatto con il Signore Gesù.

Quando mia madre morì aveva solo 26 anni, io ne avevo appena due, ero un piccolo bambino, per questo non mi ricordo di lei, è come se non l’avessi mai conosciuta. Dopo circa un anno mio padre si risposò con un’altra donna, così la mia nonna materna si prese cura di me insieme a mia sorella di quattro anni e al mio piccolo fratellino di 16 mesi.

Siamo cresciuti con mia nonna e con alcuni fratelli di mia madre, nonostante le tante attenzioni e l’amore che ci hanno dato, il mio cuore era addolorato e in me c’era un profondo vuoto. Volevo che mia madre stesse vicino a me, stringendomi tra le sue braccia, dandomi la sicurezza e l’affetto di cui avevo tanto bisogno, così mi affezionai alle mie zie.

Con noi abitava anche il fratello di mia madre, con il quale ho avuto uno splendido rapporto. Era come un padre per me, ricordo che la mattina presto quando lui andava al lavoro, subito mi coricavo nel suo letto vicino a mia zia per sentire un poco di calore e di affetto che mi mancava tanto.

Durante la mia adolescenza uscivo con i miei amici, andavamo a ballare, avevo i miei divertimenti, all’apparenza sembrava che avessi tutto quello di cui un ragazzo ha bisogno. Non era così, ricordo che la sera quando rientravo a casa mi sentivo solo e triste, non ero soddisfatto. Mi mancava tanto mia mamma, ma ero anche consapevole che era impossibile riaverla e che nessuno la poteva sostituire. Con i miei amici cercavo di dimostrarmi sempre allegro, sapevo mascherare molto bene i miei stati d’animo e la mia tristezza dietro ad un falso sorriso.

Mia nonna era una donna speciale, era buona con tutti, già da piccolo mi aveva dato degli insegnamenti cristiani, mi voleva molto bene, è stata lei che mi ha cresciuto facendo le veci di mia mamma e dandomi tutto quello di cui avevo bisogno. Ricordo che prima di morire mi disse: affidati a Gesù. Continuai a frequentare la chiesa per un breve periodo perché ero spinto da mio fratello minore, poi mi allontanai. Grazie a Rosa, la ragazza con la quale mi fidanzai, iniziai di nuovo ad andare in chiesa, ricordo con grande commozione che un giorno mi trovavo nella chiesa evangelica seduto su una panca, e con molta tristezza mentre ripensavo a mia madre ed al fatto di non averla conosciuta, il Pastore Michele Romeo lesse la Parola di Dio in Giovanni 14:18 che dice: Io non vi lascerò orfani; tornerò a voi. In quell’istante sentii l’abbraccio Paterno di Dio, il Suo amore iniziò ad entrare nel mio cuore così forte che scoppiai in un forte pianto. Insieme alle lacrime versate usciva tutta la mia tristezza, nel mio cuore iniziai a sentire una grande gioia, allora compresi che Dio aveva iniziata un’opera nella mia vita. Lui mi ha donato il Suo amore e mi ha dato quell’affetto che mi mancava, ho sperimentato la vera pace e mi ha reso un uomo Felice. Sono passati circa 11 anni da allora e posso dire che nel mio cuore c’è una grande gioia.

Oggi sono felicemente sposato e ho 2 meravigliose bambine ma soprattutto ho nel mio cuore il Signore Gesù l’unico che può cambiare la tristezza in gioia.

 

La testimonianza di Franca: Le carezze di Dio

Sono una donna di 48 anni. Ero ancora molto giovane quando sentivo il profondo e inappagato bisogno di ricevere dai miei genitori una carezza, un abbraccio, un gesto di tenerezza che mi facesse sentire il loro amore. Ma la loro attenzione era rivolta quasi esclusivamente a mia sorella, della quale si dicevano orgogliosi. Mi sentivo come un'estranea, un'intrusa, una figlia non voluta. Passarono molti anni e nessuno si accorse che non avevo mai pronunciato la parola "papà". Dentro di me si fece strada la convinzione di essere inferiore, e ciò aumentava la mia insicurezza. Mi chiudevo sempre più in me stessa e manifestavo il mio disagio con la balbuzie. L'infanzia lasciò posto all'adolescenza e dentro mi covava una profonda ribellione che però sapevo ben dissimulare.

A sedici anni mi innamorai di un ragazzo. La nostra relazione fu molto contrastata dai miei e forse proprio per questo mi legai a lui ancora di più. Mio padre resistette molto a questo mio legame affettivo. Giungemmo comunque ad un passo dal matrimonio, tutto era pronto, le bomboniere e l'alloggio preso in affitto. Ma a questo punto fui presa dall'angoscia. Non volevo sposarlo, ma scappare, fuggire lontano dal groviglio inestricabile dei miei sentimenti.
Scappai con un giovane di fede islamica che avevo conosciuto da poco. Mio padre era furioso. La nostra fuga, anche per questo, continuò. Poi lo sposai. Dopo nove anni di matrimonio mi chiese di diventare musulmana, era questa la condizione per essere veramente accettata da lui. Mi dissi disponibile ma solo dopo aver approfondito le mie conoscenze sia dell'Islam che del Cristianesimo. A quel punto avevo già due figlie per la felicità delle quali avrei fatto qualsiasi cosa.
Cominciai a leggere la Bibbia e non avendo trovato un Corano, dei testi introduttivi all'Islam. Ma il fascino della Bibbia mi conquistò completamente. Dalle pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento conobbi un Dio di misericordia e di tenerezza che non avevo mai conosciuto. La cosa che mi folgorò fu il fatto che io ero importante per Lui, tanto da darsi in Gesù Cristo per il perdono dei miei peccati e per la mia salvezza.
Quando fu chiaro che non sarei mai diventata musulmana il rapporto con mio marito degenerò e cominciai a soffrire di terribili sensi di colpa. Sicché quando entrai per la prima volta in una chiesa evangelica mi sentii fortemente stretta da due lati. Da una parte il senso di libertà e di adorazione sincera che si respirava nei canti e nelle preghiera, dall'altra il mio sentirmi profondamente bloccata, oppressa da un peso interiore sotto il quale rischiavo di rimanere schiacciata.
L'incontro con la parola di Dio nel libro del profeta Isaia segnò una svolta: "Venite e discutiamo assieme. Se anche il tuo peccato fosse rosso come lo scarlatto io lo farò diventare bianco come la neve". Fui travolta dalla commozione. Il Signore, perdonandomi, prendeva su di sé il peso della mia colpa.

Ma le ragioni del mio turbamento non cessarono, soprattutto a causa del burrascoso rapporto con mio marito. La mia preghiera era un grido di dolore soffocato dal silenzio del mio smarrimento. Fu proprio durante una di quelle adunanze di adorazione e preghiera che feci un'esperienza che è difficile, forse impossibile, spiegare a parole. Anche l'apostolo Paolo parla di un'esperienza di questo tipo nel suo epistolario. Ciò che vissi fu come la materializzazione dell'amore di Dio per me. Percepivo la Sua presenza avvolgente e in me, l'amore senza fine per Gesù. La commozione di quell'esperienza fino alle lacrime, rimase con me per molti giorni.
Fu questo amore che mi aiutò a superare ogni risentimento verso mio marito. Poi, per un incidente automobilistico, lo persi: altro dolore, altri problemi, altre difficoltà. Da allora tuttavia non mi sono più sentita sola, il Signore è stato sempre con me. Egli mi ha consolata, quando ero smarrita, mi ha sorretta e con amore mi ha consigliata e liberata.

Grazie a Dio oggi posso servirlo in questa missione che si occupa del recupero dei tossicodipendenti. Dio ha messo anche nel mio cuore un amore cristiano per questi ragazzi che vivono senza pace. Insieme ad altri credenti cerchiamo di essere luce che brilla nelle tenebre fitte della droga portando una parola di speranza.

Dio ha una carezza per ogni creatura!

 

La testimonianza di Armando: Dal buio delle tenebre alla luce di Dio

 
Mi chiamo Armando, ho 33 anni e circa 10 anni della mia vita li ho trascorsi nella sofferenza della droga.

La mia è stata un'infanzia difficile convivendo con i continui litigi dei miei genitori e quando i miei decisero di separarsi il mio cuore venne colpito da un dolore profondo. Crescendo provavo invidia verso i miei amici perchè vedevo che avevano famiglie unite e desideravo averne una anch'io.

Un giorno mia mamma fu colpita da un guaio giudiziario e io dovetti andare a vivere con una mia zia. In quello stesso periodo mio padre iniziò a bere ed entrò nel tunnel dell'alcool. Questo era un altro dolore che si aggiungeva al mio stato di sofferenza.

Man mano che crescevo, ormai ero un giovanotto, cresceva anche un senso di ribellione in me e un senso di disprezzo verso la vita e verso i miei genitori, e tante volte ho desiderato non esistere. Immancabilmente, frequentando la strada e la mia compagnia, si presentò la droga.

Avevo poco più di sedici anni e iniziai a provare i primi spinelli e man mano che crescevo avevo in me il desiderio di andare oltre. Iniziai a provare droghe diverse, come la cocaina, "trip" allucinogeni e assumendo pasticche di extasy. Iniziai poi a frequentare varie discoteche di Riccione e di altri posti, spacciando droga.
Un giorno, avendola in mano, venne in me il desiderio di provare l'eroina: è lì che iniziò la vera sofferenza sia fisica che mentale e presi a bucarmi e ad isolarmi dal mondo. Man mano che andavo avanti questa sostanza s'impradoniva sempre più della mia vita. Questo è durato per circa dieci anni e ormai mi ero rassegnato che questa doveva essere la mia vita e la mia fine. Io stesso non avrei scommesso una lira su di me e senza la dose quotidiana ero incapace pure di camminare.
Ho provato varie volte a smettere, persino riuscendoci per brevi periodi, ma in quel tempo mi mancava la sostanza e c'era un vuoto in me incolmabile.

Un giorno, mentre ero nella mia stanza, nei miei viaggi verso l'inferno della droga, mia mamma mi invitò ad andare a casa di mia zia perchè li c'erano delle persone che pregavano. Accettai di malavoglia ma poi, a casa di mia zia incontrai queste persone che mi parlavano di Gesù come un vivente che mi poteva liberare dal mio stato pietoso. Così fecero per me una semplice preghiera e uno di loro mi regalò pure una Bibbia. In quei momenti sentii l'amore che queste persone avevano e il loro peso per il mio problema. Anche in me avvenne qualcosa che non so spiegare e scendendo da quell’appartamento non vedevo l'ora di arrivare a casa mia. Non so cosa mi stava succedendo ma appena arrivato nella mia stanza presi l'altra droga che mi era rimasta e la scaraventai con tutta la mia rabbia dalla finestra. Poi mi inginocchiai e chiesi a Dio di liberarmi da quel laccio che mi teneva legato. La mattina seguente già mi svegliai diverso e veramente sentivo la presenza di Dio su di me e man mano che i giorni passavano iniziai a disprezzare la droga e la persona che ero stato.

Sono trascorsi tre anni e mezzo da quando ho smesso e sono veramente grato a Dio perchè la Sua presenza è sempre più tangibile nella mia vita. Oltre a essere stato liberato dalla droga, la mia vita è in pace con Dio e verso il prossimo. Non ho più confusione nella mente, il mio punto di riferimento è Cristo Gesù ed ogni mio problema lo metto davanti a Lui.

Posso veramente dire che mi sento rinato e sono circondato da persone che mi amano e mi stimano. Frequento anche una chiesa cristiana evangelica e il Signore ha messo nel mio cuore la compassione per i disadattati, infatti sono collaboratore di un'associazione, "progetto Kades", per il recupero degli emarginati. Sono grato a Dio per tutto ciò.

 

La testimonianza di Elia: A un metro dall'inferno

 
Nelle famiglie di fede evangelica si usa mettere i nomi di personaggi della Bibbia. È per questo che mi porto quello di un grande profeta di cui narra l'Antico Testamento, Elia.

Sono l'ultimo di otto. Mia mamma si ammalò di un forte esaurimento nervoso mentre io ancora mi agitavo nel suo grembo. Quando nacqui, non era già più nelle condizioni di prendersi cura di me, così lo fece mia sorella più grande. Ma quando partì per l'America, dopo aver preso marito, per me era ancora troppo presto.

Avevo solo 11 anni ed ero bramoso di affetto materno. Mi sentii abbandonato e terribilmente insicuro, mi parve che il mondo con tutto il suo peso gravasse sulle mie spalle ancora troppa gracili. Mi sentivo schiacciato.
Un profondo senso di ribellione contro tutti e contro tutto cominciò ad albergare nel mio cuore. Non davo ascolto a mio padre e più lui cercava di correggermi, più reagivo con forza. C'era in me un fuoco di risentimento verso la vita che mi induceva a fare tutto il contrario di ogni cosa giusta.

Avevo solo 15 anni quando divenni capo di una banda di ragazzini del mio quartiere. Facevamo molte bravate e ce ne vantavamo. Poi venne la stagione delle discoteche, delle ragazze, del sesso e dell'alcol, tanto. Mi ubriacavo spesso.
Immancabile giunse l'appuntamento con la droga: dapprima lo spinello, poi gli allucinogeni e l'eroina. Il mio cervello era in frantumi almeno quanto la mia anima. La cocaina, infine, distrusse quel poco che rimaneva della mia integrità di uomo. L'odio per il mondo e per la vita era ormai divenuto odio contro me stesso. In fondo non facevo altro che distruggermi, dose dopo dose, buco dopo buco. Ma cercavo ancora, seppure in maniera maldestra, di mascherare il disastro che ero divenuto.
Giorno dopo giorno bruciavo la terra attorno a me. Credo di aver ingannato tutti, amici, parenti, familiari e quindi cresceva a dismisura tutto intorno il deserto. A questo punto la droga mi serviva per sentirmi in quello stato di torpore che ti impedisce di pensare e di riconoscerti per quello che sei diventato, una larva. Da fanciullo educato alla fede cristiana, ero divenuto un adoratore del diavolo, di un dio che chiamavo eroina. Ero a meno di un metro dall'inferno.
Oggi riconosco i grandi sforzi fatti da mio padre per aiutarmi, dissuadermi, correggermi, amarmi. Ma a nulla valsero. Non so più in quante comunità terapeutiche ho soggiornato e da quante sono scappato. Ero in un vicolo cieco. Non ero più padrone di me. Più che l'alcol e la droga, il vero problema, comunque, ero io stesso.

La droga aveva, nei lunghi anni di abuso, corroso ogni cosa. Non sapevo più gioire e non sapevo più piangere. I momenti di lucidità erano talmente insopportabili che diverse volte ho tentato il suicidio. Oggi so che qualcuno mi proteggeva. Mi somministravo la morte a piccole dosi quotidiane, eppure ero terrorizzato dalla morte. Diverse volte sono stato in coma per overdose.

Non saprei dire come, né saprei ripetere le parole, ma nel mio cuore doveva esserci un grido soffocato di aiuto simile a una preghiera. “Ti prego, soccorrimi Signore. Donami la pace e fammi provare quella gioia di vivere che mi é sconosciuta!”.
Dio rispose, e lo fece attraverso mio padre. Lui non aveva mai smesso di pregare per me. Fu lui a propormi di entrare in una comunità di recupero che aveva una forte enfasi di fede cristiana. “Papà portami pure in questo centro. Per me soltanto Dio, se esiste, può fare qualcosa.” Qui conobbi non solo una comunità di ragazzi col mio stesso problema, ma anche una comunità spirituale, di persone sinceramente convinte dell'aiuto di Dio. Ero attratto da quella forte tensione spirituale ma non capivo fino in fondo da dove venisse. Avevo fede, ma ero ancora incredulo. Qualcuno a cui mi rivolsi mi parlò con semplicità e convinzione di Gesù. “Quello che non puoi fare con le tue forze lo può Gesù per te!”.
Volevo crederci, dovevo crederci. Cominciai una lunga, reiterata e ostinata preghiera. Volevo che operasse anche in me come in quei ragazzi. Stentavo a credere che avrebbe potuto rimettere assieme i pezzi della mia vita. Fu così, forse per la prima volta, che mi resi conto del male che avevo fatto a tante altre persone. Molti avevano patito a causa mia. Ma questo pensiero non mi distruggeva. La consapevolezza del peccato cresceva di pari passo con quella della Grazia. Dio mi voleva bene. Non si era stancato di me. Aveva continuato ad amarmi anche quando non mi amavo neppure io stesso. È stato per la Sua vicinanza se ho potuto sopportare la paralisi delle crisi di astinenza. Lui, soltanto Lui era capace di spegnere il fuoco che ardeva nel mio corpo, che bruciava le vene mentre le ossa erano pesanti come il piombo. Dio ha agito, certo, ma lo ha fatto attraverso molti di quei ragazzi che erano passati per quella stessa angusta strada. Erano per me come una schiera di angeli mandati a soccorrermi, giorno e notte.
La fede dei primi passi cominciò a diventare cammino quotidiano nell'ascolto della Parola, nella preghiera, nella meditazione personale. Così l'antica storia di quel figlio, di cui narra la parabola, che parte per un lungo viaggio nel quale si perde, acquistava per me un significato biografico. Dio era proprio quel padre paziente e amorevole rimasto alla finestra ad aspettare il mio ritorno.

Da allora la presenza spirituale del Signore ha preso a medicare e curare le mie piaghe. La lunga malattia dell'anima aveva lasciato ormai posto alla stagione della convalescenza e della piena guarigione. Nessun medico e nessuno psichiatra aveva potuto affrancarmi da quei 22 anni di vita dissoluta vissuta alla mercé della droga. Il Signore l'ha fatto. L'ha potuto per mezzo del Suo amore. L'ha compiuto mettendo in me la fede. L'ha realizzato donandomi dei fratelli. Ed oggi il più grande desiderio che ho nel cuore è quello di sapermi nelle Sue mani uno strumento di aiuto per tanti altri ragazzi come me. C'è di nuovo un fuoco dentro di me, ma questa volta non mi distrugge!